Ecco come definirei la presentazione che si è tenuta ieri, sabato 9 aprile, presso la libreria Le Notti Bianche di Vigevano. La conoscenza di Demetrio Paolin e del suo ultimo scritto “Conforme alla gloria” (ed. Voland) è stata una sperimentazione di sensi, moderata da Ivano Porpora.
Demetrio Paolin è candidato al Premio Strega. E ciò risulta ancora incredibile per lui, scrittore ma prima ancora uomo umile e preparatissimo, incantatore con la sua voce.
Conforme alla gloria, viene spiegato, tratta di un quadro. Un quadro dal materiale particolare, segno atroce di ciò che è stato commesso nell'era nazista del mondo. E delle persone che ruotano attorno ad esso.
Heinrich, l'SS mai pentito, cattivo personaggio e lineare in questo fino alla fine; il figlio Rudolf, sindacalista, colui che deve fare i conti con l'eredità passatagli dal padre, e con lui tutta l'umanità intera.
Si parla di Enea, anche, e del suo antro spoglio dove tatua – a differenza degli studi a cui noi tutti siamo abituati; e si parla di Ana, la sua modella. Ma il protagonista forse per eccellenza è lei.
La pelle.
E la sua consistenza.
Ciò che – come lo stesso autore afferma - “decreta l'esistenza di una persona”. Ed è facile qui tornare con gli occhi gonfi di lacrime a quello che anche Demetrio Paolin ricorda nel suo libro (e casualmente ci legge durante l'incontro): ciò che è stato del tragico incendio alla filiale torinese della ThyssenKrupp; agli uomini, brandelli umani, inesistenti, fantasmi di sè stessi (cit.), proprio per la mancanza di ciò che noi tutti crediamo essere una sottile membrana, la pelle. La semplice superficie che separa il nostro corpo dall'esterno.
Ma ci dimentichiamo che anche la superficie è profonda, ha un suo spessore, e lo si può provare. L'inchiostro dei tatuaggi la penetra, si aggrappa ad ogni suo sottile strato e lì rimane per sempre. Avete bisogno forse di un altra prova?
Approcciarsi ieri per la prima volta a Conforme alla gloria è stato come ricordare a percepire i sensi; è stato come immedesimarsi in Rudolf nel momento in cui intinge il proprio indice nella tela tanto discussa, nell'assaggio tattile e gustativo che ha della stessa; è stata una riscoperta delle sensazioni che forse abbiamo perduto, così come l'idea del dramma, quel qualcosa che oggi ci sfugge di mano, che viene ingigantito nei momenti meno appropriati. E questo ce lo ricorda proprio Demetrio Paolin, ancora una volta procedendo a ritroso e portandoci davanti all'incredibile disumanità dell'epoca di lager e nazismo.
Ciò che è rimasto di ieri è un libro-etico, che piano piano si sta riempiendo di segni, di piccole tacche che devono rimanere ad imperitura memoria, come la sua storia, i suoi personaggi, e la percezione degli stessi.
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