lunedì 8 maggio 2017

Dove tutto è a metà - Federico Zampaglione e Giacomo Gensini

Dove tutto è a metà. Federico Zampaglione e Giacomo Gensini. Mondadori. 304 pagine. 18,00 euro.

Al Morrison Cafè non sono mai stata, da che bazzico a Roma. 
Ma ho rivisto in “Dove tutto è a metà” le mie prime serate in pub stretti, in legno e bellissimi, dove amici musicisti di amici musicisti e fotografi suonavano per me. Così ingenuamente credevo. E mi beavo di questo.
Di questa singolarità che esplodeva dal cantante del gruppo, delle sue parole, dei suoi suoni. E mi sono resa conto solo ora che al tempo mi trovavo davanti a Lodo.
Lodo, quel ragazzo carico di sogni e di aspettative, quel ragazzo che alla fine… beh, lo siamo stati un po’ tutti no? Quel ragazzo ingenuo, che ha necessità però di avere al fianco un grillo parlante, per capire come affrontare il pubblico, l’arte, il successo. E forse anche la vita.

E quella spalla arriva nella figura un po’ passata di Libero, il cantante pop che ormai ha fatto il suo tempo, che ha il terrore dell’oblio, e che anzi, forse l’ha già investito in pieno.
Due sono le generazioni a confronto.
Quasi come un romanzo di formazione, Lodo assiste Libero e viceversa, l’uno forse alter-ego dell’altro. Esperienza ed eccitazione a confronto. L’uno che si rivede, nell'altro.
E solo così potranno entrambi crescere. Insieme.
Due sono le vite e le donne che orbitano attorno ai due protagonisti.
L’una, Giulia, la ragazza forte e determinata, coraggiosa, musa per Lodo. Ma anche egoista. Sembra che a lei del genere umano non importi nulla. Ma anche alle persone così decise (e crudeli) a volte capita di innamorarsi, e rimanere schiacciate da questo sentimento. Di toccare il fondo e darsi una spinta per risalire. Alla fine, non siamo un po’ tutti uguali?
L’altra donna protagonista è la super organizzata Luna, che segue il copione di moglie di Libero, parte decisamente difficile da interpretare, soprattutto a fianco di un uomo distante e perso in se stesso.
E’ una storia, quella scritta dal duo Zampaglione-Gensini, di sofferenze, combattute e vinte.
E’ una storia in cui il mescolamento di tutti gli ingredienti, di tutti i personaggi, riesce da solo a sconfiggere le delusioni e i tradimenti.
E’ una storia in cui parole e musica si intrecciano caparbiamente fin dal titolo di ogni capitolo.
E’ una storia poetica, dove tutto rimane a metà…

Vai, non negarti
questo tempo
io raccolgo i pezzi
e sento che ora tu respiri già
in un’altra vita
in un’altra realtà
stento nel vedermi solo qua
dove tutto è a metà

martedì 2 maggio 2017

Ogni spazio felice - Alberto Schiavone

Ogni spazio felice. Alberto Schiavone. Guanda. 240 pagine. 16,00 euro. 

Voto: 9

Ada e Amedeo sono due solitudini.
Sono solitudini che tentano di ingabbiarsi nella noia e nella monotonia della loro casa, in mezzo al puzzo di sigarette e alle bottiglie di vino vuote. La morte dell’abitudine, mi viene da pensare, dopo aver letto il romanzo di Alberto Schiavone, “Ogni spazio felice”. E io la odio, l’abitudine.

“Deve esserci da qualche parte del cervello una zona infingarda e accondiscendente che impedisce ogni reazione, in favore della continuità.”

È il romanzo che ti fa credere che tutto nella vita procede come appunto deve andare; non c’è modo per i protagonisti di ribellarsi, la loro esistenza non glielo permette. Buffo e crudele al contempo. 
Ada si accascia nell’alcolismo più bieco, dopo aver perso il figlioletto per uno strano e infantile scherzo del destino.
Amedeo al contempo si perde nelle sue storie ad occhi aperti, vano tentativo di fuga dalla realtà priva di ottimismo e carica di tensione.
Sonia, la figlia della coppia, appare quasi richiamata dalle fila di un deus ex machina per ravvivare le già abbondanti preoccupazioni paterne.
Da sfondo, una Milano grigia, nera, quella interrazziale, quella che incrocia Via Padova e si snoda per Piazzale Loreto alla ricerca di un uomo quasi padre fuggito, anche lui, come Ginevra, la gatta della coppia.
Ecco.
Sono loro gli unici due fuggiaschi che riescono ad andarsene via.

E allora trascorre così la settimana dei due coniugi. Nella chiusura più stagna possibile. E nell'infelicità.

«È infelice?» 
«Con parsimonia.» 
«Allora va bene. È accettabile.»

Sarà che sono contro il rimanere in una vita che non è più vita e accanto a chi ci fa solo soffrire, scrivevo ad Alberto nel giorno che ci è voluto per terminare il romanzo.
Sarà che nonostante ciò, ritengo sia un libro che faccia male, di una tristezza esagerata, e che tale parere debba però essere letto positivamente, perché fa bene leggere un romanzo così.
Fa bene perché ci si rende conto di quante possibilità avrebbero avuto i protagonisti per modificare il loro destino, e di quante ne abbiamo noi, ogni giorno, per sfuggire ad esso.
Fa bene perché ti fa sentire pubblico davanti ad una rappresentazione teatrale pazzesca dell’animo umano.
Fa bene perché ti fa credere che l’amore a volte finisce, e diavolo!, va bene così.

Io ho fatto un pensiero che è stato come una preghiera, o un’altra storia immaginata da Amedeo: che lui, al termine della sua rocambolesca e piatta esistenza, possa fare i bagagli, e vivere, finalmente.

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