Anche quest'anno Mangiapagine è andato al Salone Internazionale del Libro di Torino e come sempre è stato come visitare il paese dei balocchi.
Tantissimi stand (forse troppi) e tantissime nuove persone da conoscere. Questa volta ci siamo state con occhi più critici e ci siamo focalizzate soprattutto sulle piccole case editrici per conoscere un'offerta diversa.
E poi onestamente siamo andate anche e soprattutto per lui. Matteo Strukul, che alle 18.00 avrebbe tenuto un incontro per parlarci del suo ultimo romanzo “Il sangue dei baroni”. Non potevamo mancare!
Siamo state fortunatissime ad avere incontrato Matteo già qualche ora prima dell'evento, è stato bellissimo salutarsi e scambiare due chiacchiere in anteprima! È una persona molto semplice, alla mano e simpatica.
E poi finalmente è arrivata l'ora. Ci accomodiamo in Sala Romania e ci lasciamo trasportare dalle parole di Matteo e del suo editore Sergio Fanucci. Una coppia davvero sorprendentemente fantastica! Preparati, simpatici, in grado di raccontare al pubblico il nuovo libro rendendolo accattivante e senza anticipare troppo.
Sergio ha esordito dicendo che “Il sangue dei baroni” è un romanzo nero, poiché esprime il lato oscuro dell'animo umano. I suoi personaggi sono tutti neri e sono consci di esserlo. Ma da dove deriva quest'ombra nell'uomo? È il mondo stesso che la fa emergere, poiché tentatore.
Ma allora quali possono essere le soluzioni contro questa anima nera? Matteo ci viene incontro e ci spiega che secondo lui la cultura è la salvezza. Non la cultura autoreferenziale o vista come arma di distinzione di classe, ma la cultura come arma per unirsi e combattere la corruzione in ambienti di formazione quale per esempio l'università.
“L'università è come la Germania prima dell'unificazione: una serie di potentati e piccoli regni in cui ogni barone cerca di allargare i confini del proprio feudo. Non esiste un obiettivo comune, uno scopo superiore per cui lavorare insieme. Tutto è misura del potere: quanti dottorandi hai, quanti ricercatori hai, quanti associati, quanti finanziamenti riesci a portare a casa. Quanti articoli pubblichi sulle riviste. Quante consulenze riesci a fare. Che titoli hai: direttore di dipartimento, preside, rettore...E' una guerra. E sto cercando di non soccombere”.
E proprio l'università e il suo sistema di potere volto al nepotismo e non all'esaltazione dei meriti personali è il centro del nuovo romanzo di Matteo.
Un romanzo corale, in cui gli stessi personaggi ci raccontano le loro vicende. Visibile soprattutto un grande lavoro da parte dell'autore nel disegnare personaggi credibili e integri. Durante l'evento è emersa infatti l'idea che porta avanti Matteo riguardo i suoi protagonisti, ovvero quella di non descrivere supereroi ormai poco plausibili, ma antieroi che si possono ritrovare tranquillamente nella vita quotidiana.
Si trova inoltre, con piacere, una particolare attenzione nei confronti dei personaggi femminili, descritti con molta onestà, risultano quindi donne verosimili e nello stesso tempo molto forti.
È stata una chiacchierata veramente interessante, soprattutto perché Matteo ha fatto il punto della situazione della cultura nel nostro paese, ma non ha creato scenari catastrofici, ha invece dato una speranza positiva a noi giovani dicendo che “Il futuro di questo paese è nelle vostre teste”.
E noi non possiamo che essere più d'accordo di così.
E una volta tornate a casa si è litigato per chi dovesse essere la prima a leggere “Il sangue dei baroni”. Vè l'ha spuntata per un soffio e si è goduta questo thriller veramente coinvolgente che, in qualche modo, è riuscito a dare anche importanti lezioni di vita.
“Ma d'altra parte, cosa c'era di più bello per un professore che dare una possibilità a un giovane ricercatore?
Non era in fin dei conti proprio quello il senso del suo lavoro?
Quando se l'era dimenticato, esattamente?
Una lacrima, fuggevole, gli scese lungo la guancia.
Era commosso. Capì che aveva barattato la felicità per qualcosa che ormai non comprendeva più. Il potere, il sesso, il prestigio: erano inutili gingilli di vanità, il tremulo riflesso di un uomo che aveva smarrito la strada e che si era accorto troppo tardi di non poter più tornare indietro.
Quel ragazzo, però, aveva dimostrato che almeno c'era speranza per l'università italiana”.
Quindi non ci resta che dirvi di andare ad accaparrarvi “Il sangue dei baroni”. Leggerlo e tirare un sospiro di sollievo perché non tutto è perduto per il nostro paese.
E se siete curiosi, qui troverete le belle parole che Matteo ci ha concesso per i nostri e i suoi lettori.
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